L’Antica Regola Latina promuove valori collettivi in un mondo cavalleresco sensibile soprattutto alle prodezze individuali. Fa riferimenti precisi alla disciplina da osservare in convento, sul campo di battaglia, durante gli spostamenti. Sviluppa l’ideologia: del coraggio, dello spirito di sacrificio, del senso del dovere, dell’orgoglio della bandiera e dell’abito.
Lo stendardo dell’Ordine, il famoso gonfalone baussant (o baucent), punto di raccolta dei fratelli durante il combattimento o sul campo, è il simbolo della coesione dell’Ordine. Si deve anche sottolineare l’importanza attribuita all’abito. Dopo la perdita della Domus, la perdita dell’abito è la più grave punizione che possa spettare ad un cavaliere. Tutto questo è manifestazione chiara di una “cultura militaresca”, esplicita nella Regola dei templari.
Esistono due versioni della Regola: la prima redatta in latino, lingua ufficiale della burocrazia ecclesiastica, dal chierico Johan Michiel (detta anche regola primitiva), la seconda del 1140, compilata in francese per gli “illetterati”. La Regola latina primitiva comprende settantadue articoli. L’Ordine è però una istituzione dinamica, che si adatta alle esigenze dei tempi e dei luoghi, pur non rinnegando i suoi scopi iniziali. La Regola quindi si comporta di conseguenza, adattandosi alle nuove situazioni che man mano si presentano: integrata da bolle papali, dai retrais, dagli status e dagli egards, arriverà a contare ben 678 articoli dai 72 iniziali.
Il colore bianco è simbolo di purezza, ma è anche il colore dello stadio più alto del percorso iniziatico o del ciclo alchemico. Il bianco ed il nero simboleggiano anche la contrapposizione tra cielo e terra, tra il bene e il male, tra l’oro e il piombo alchemico. Questo dualismo, che ricorre nel medioevo, è ben presente anche nel baussant: «… essi marciano preceduti da una bandiera, che chiamano baussant, perché sono pieni di candore per gli amici del Cristo, neri e terribili verso i suoi nemici» (Giacomo di Vitry, nell’Historie des Croisades).
Riguardo alle abitudini alimentari, poiché «è risaputo che conduce alla corruzione del corpo», la carne è consentita fino ad un massimo di tre volte a settimana, ad eccezione delle grandi festività e dei periodi di digiuno. L’avanzo del pasto doveva essere distribuito ai servitori e poveri. Inoltre un decimo di tutto il pane giornaliero doveva essere dato in elemosina, infatti «ai poveri spetta il primo posto nel regno di Dio».
Si dispone che la consumazione della razione quotidiana sia fatta in comune, in silenzio e due per ogni scodella. Come per il baussant, anche questo è un elemento di dualismo che si ritrova spesso nel mondo templare. Altro esempio è lo stemma più conosciuto del Tempio: due cavalieri sopra un solo cavallo. Questo sigillo ha dato adito a numerose interpretazioni. I due cavalieri potrebbero simboleggiare la prima povertà, quasi ostentata, dell’Ordine, oppure l’obbligo di soccorrere un confratello privato della cavalcatura durante un combattimento, o ancora l’esistenza di una dottrina più nascosta, esoterica, in contrapposizione con l’altra più palese, essoterica.
La regola manifesta avversione per tutto ciò che Bernardo disprezzava nella moda cavalleresca del tempo: folta capigliatura, calzari con lacci, equipaggiamenti dorati o elaborati accessori, poiché «lo splendore del colore e della decorazione non deve essere interpretato dagli altri come arroganza». Più in generale, si disponeva l’obbligo della povertà intesa non già nel senso francescano, piuttosto come la privazione di oggetti, armi ed abbigliamenti “superflui”.
La conversazione è limitata alle necessità di funzione. Soprattutto, erano del tutto proibite sia le espressioni scurrili e ignominiose, che le risa. L’ira, la malizia, le lagnanze e i ricordi delle trascorse conquiste sessuali dovevano essere evitate, «si sa che ogni parola oziosa genera il peccato». Si sottolinea l’importanza dell’aiuto reciproco tra i fratelli.
Gli sport aristocratici, come la falconeria e la caccia, erano proibiti, ad eccezione della caccia al leone, considerato simbolo del male. Viene anche proibito maltrattare i propri scudieri, qualunque cosa essi facciano; si raccomanda di rispettare ed accudire i fratelli malati o più anziani. È anche permesso all’Ordine di possedere terre, uomini liberi e servi per poterle far fruttare, di partecipare ai guadagni ecclesiastici, come le decime saladine: una norma questa che sanciva la ricchezza collettiva di una comunità formata da individui poveri singolarmente.
Nei retraits (1160 circa), la parte della regola che descrive l’organizzazione militare e le regole di combattimento del cavaliere templare, si inquadrano vari scenari di combattimento in “tempo di guerra”, per i quali fornisce le relative norme di comportamento: l’attacco da parte del nemico all’armata in marcia, in colonna, su strade strette ed impervie, oppure quella la battaglia in campo aperto, dove l’armata può spiegarsi e lanciarsi nella nota “carica di cavalleria”. Situazione in cui l’armata esprimeva tutta la sua forza. Parliamo dell’organizzazione. La regola definiva la figura del Maestro (non si utilizza il termine Gran Maestro, termine utilizzato solo dal XV secolo), a testa dell’Ordine e coadiuvato da un Consiglio e da un certo numero di dignitari, i più importanti dei quali sono il Siniscalco (che fa le veci del Maestro), il Maresciallo, vero e proprio capo di stato maggiore, il turcopoliere, che comanda la cavalleria leggera. Dal XIII secolo un ispettore generale rappresenterà il Maestro in Occidente.
Negli status (1230-1240 circa), vengono forniti dettagli sulle cerimonie imporanti, come la tenuta del Capitolo o lo svolgimento della cerimonia di ammissione.
Negli egards (1257-1267 circa) sono raccolti i testi di giurisprudenza che riguardano i divieti, i tipi di esclusione, le penitenze, la raccomandazione del segreto riguardo alle delibere dei Capitoli. Il divieto di «tenere retraits o la Regola se non con il permesso del convento», poichè si temeva che gli scudieri, leggendola potessero rivelare le istituzioni alle «genti del secolo, il che può essere dannoso alla religione», insieme alla segretezza delle riunioni del capitolo e delle cerimonie di ammissione, che dovevano avvenire a porte chiuse, la sera ed all’alba, hanno dato vita a maldicenze circa lo svolgersi di riti magici o alchemici o cimunque non ortodossi nelle cerimonie dell’Ordine.
1. Quale divino ufficio debbano udire.
Voi che rinunciate alla propria volontà, e tutti gli altri che per la salvezza delle anime con voi militano per un certo tempo, con cavalli e armi per il sommo Re, abbiate cura di udire con pio e puro desiderio nella sua totalità i Matutini e l’Integro Servizio, secondo l’istituzione canonica e la consuetudine dei dottori regolari della Santa Città. Soprattutto da voi, venerabili fratelli, è dovuto in sommo grado, poiché disprezzata la luce di questa vita, e superata la preoccupazione dei vostri corpi, avete promesso di disprezzare il mondo incalzante per amore di Dio per sempre: rifocillati e saziati dal divino cibo, istruiti e confermati dai precetti del Signore, dopo la consumazione del Divino Mistero nessuno tema la battaglia, ma sia preparato alla corona.
2. Dicano le preghiere del Signore, se non hanno potuto udire il servizio di Dio.
Inoltre se un fratello lontano per caso per un impegno della cristianità orientale (e questo più spesso non dubitiamo sia avvenuto) non potesse udire per tale assenza il servizio di Dio: per i Matutini dica tredici orazioni del Signore e per le singole ore, sette; per i Vespri riteniamo se ne debbano dire nove, e questo lo affermiamo unanimemente a libera voce. Questi infatti impegnati così in un lavoro di preservazione, non possono accorrere nell’ora opportuna al Divino Ufficio. Ma se fosse possibile, nell’ora stabilita non trascurino quanto dovuto per istituzione.
3. Che cose fare per i fratelli defunti.
Quando uno dei fratelli professi sacrifica ciò che è impossibile strappare alla morte, che non risparmia nessuno, ciò che è impossibile strappare: ai cappellani e ai sacerdoti che con voi caritatevolmente e temporaneamente servono al Sommo Sacerdote comandiamo con carità di offrire per la sua anima a Cristo con purezza di spirito l’ufficio e la Messa solenne. I fratelli ivi presenti, che pernottano pregando per la salvezza del fratello defunto, dicano cento orazioni del Signore fino al settimo giorno per il fratello defunto: dal giorno in cui fu annunciata la morte del fratello, fino al predetto giorno, il numero centenario venga rispettato con fraterna osservanza nella sua integrità con divina e misericordiosa carità scongiuriamo, e con pastorale autorità, comandiamo, che ogni giorno, come al fratello si dava e si doveva nelle necessità, così si dia ad un povero fino al quarantesimo giorno ciò che è necessario al sostentamento di questa vita, per quanto riguarda cibo e bevanda. Del tutto proibiamo ogni altra offerta, che nella morte dei fratelli, e nella solennità di Pasqua, inoltre nelle altre solennità, la spontanea povertà dei poveri commilitoni di Cristo era solita in modo esagerato dare al Signore.
4. I cappellani abbiano soltanto vitto e vestito.
Comandiamo che per comune accordo del capitolo le altre offerte e tutte le altre speci di elemosine, in qualunque modo siano, vengano date con attenta cura ai cappellani o agli altri che restano temporaneamente. Perciò i servitori della Chiesa abbiano soltanto vitto e vestito secondo l’autorità, e non pretendano di avere nulla più, tranne i maestri spontaneamente e caritatevolmente abbiano dato.
5. I soldati temporanei defunti.
Vi sono tra di noi dei soldati che temporaneamente e misericordiosamente rimangono nella casa di Dio, e Tempio di Salomone. Perciò con ineffabile supplica vi preghiamo, scongiuriamo, e anche con insistenza comandiamo, che se frattanto la tremenda potestà avesse condotto qualcuno all’ultimo giorno, per amore di Dio, fraterna pietà, un povero abbia sette giorni di sostentamento per la sua anima.
6. Nessun fratello professo faccia un’offerta.
Abbiamo decretato, come più sopra fu detto, che nessuno dei fratelli professi presuma di trattare un’altra offerta: ma giorno e notte con cuore puro rimanga nella sua professione, perché sia in grado di eguagliare il più santo dei profeti in questo: prenderò il calice della salvezza, e nella mia morte imiterò la morte del Signore: poiché come Cristo diede la sua anima per me, così anch’io sono pronto a dare l’anima per i fratelli, ecco l’offerta giusta: ecco l’ostia viva gradita a Dio.
7. Non esagerare nello stare in piedi.
Abbiamo sentito con le nostre orecchie un teste sincerissimo, che voi assistete al divino ufficio stando costantemente in piedi: questo non comandiamo anzi vituperiamo: comandiamo che, finito il salmo, “Venite esultiamo al Signore” con l’invitatorio e l’inno , tutti siedano tanto i forti quanto i deboli, per evitare scandalo. Voi che siete presenti, terminato ogni salmo, nel dire “Gloria al Padre”, con atteggiamento supplice alzatevi dai vostri scanni verso gli altari, per riverenza alla Santa Trinità ivi nominata, e insegnammo ai deboli il modo di inchinarsi. Così anche nella proclamazione del Vangelo, e al “Te Deum laudamus”, e durante tutte le Lodi, finché finito “Benediciamo il Signore”, cessiamo di stare in piedi; comandiamo anche che la stessa regola sia tenuta nei Matutini di S. Maria.
8. Il riunirsi per il pasto.
In un palazzo, ma sarebbe meglio dire refettorio, comunitariamente riteniamo che voi assumiate il cibo, dove, quando ci fosse una necessità, a causa della non conoscenza dei segni, sottovoce e privatamente è opportuno chiedere. Così in ogni momento le cose che vi sono necessarie con ogni umiltà e soggezione di reverenza chiedete durante la mensa, poiché dice l’Apostolo: “Mangia il tuo pane in silenzio”. E il Salmista vi deve animare, quando dice: “Ho posto un freno alla mia bocca, cioè ho deciso dentro di me, perché non venissi meno nella lingua cioè custodivo la mia bocca perché non parlassi malamente.”
9. La lettura.
Nel pranzo e nella cena sempre si faccia una Santa Lettura. Se amiamo il Signore, dobbiamo desiderare di ascoltare attentamente le sue parole salutifere e i suoi precetti. Il lettore vi intima il silenzio.
10. Uso della carne.
Nella settimana, se non vi cadono il Natale del Signore, o la Pasqua, o la festa di S. Maria, o di tutti i Santi, vi sia sufficiente mangiare tre volte la carne: l’abituale mangiare la carne va compresa quale grave corruzione del corpo. Se nel giorno di Marte cadesse il digiuno, per cui l’uso della carne è proibito, il giorno dopo sia dato a voi più abbondantemente. Nel giorno del Signore appare senza dubbio opportuno due portate a tutti i soldati professi e ai cappellani in onore della Santa Resurrezione. Gli altri invece, cioè gli armigeri e gli aggregati, rimangono contenti di uno, ringraziando.
11. Come debbano mangiare i soldati.
È opportuno generalmente che mangino per due, perché l’uno sollecitamente provveda all’altro, affinché la durezza della vita, o una furtiva astinenza non si mescoli in ogni pranzo. Questo giudichiamo giustamente, che ogni soldato o fratello abbia per sé una uguale ed equivalente misura di vino.
12. Negli altri giorni siano sufficienti due o tre portate di legumi.
Negli altri giorni cioè nella seconda e quarta feria nonché il sabato, riteniamo che siano sufficienti per tutti due o tre portate di legumi o di altri cibi, o che si dica companatici cotti: e così comandiamo che ci si comporti, perché chi non possa mangiare dell’uno sia rifocillato dall’altro.
13. Con quale cibo è necessario cibarsi nella feria sesta.
Nella feria sesta riteniamo accontentarsi di prendere solamente un unico cibo quaresimale per riverenza della passione, tenuto conto però della debolezza dei malati, a partire dalla festa dei Santi fino a Pasqua, tranne che capiti il Natale del Signore o la festa di S. Maria o degli Apostoli. Negli altri tempi, se non accadesse un digiuno generale, si rifocillino due volte.
14. Dopo il pranzo sempre rendano grazie.
Dopo il pranzo e la cena sempre nella chiesa, se è vicina, o, se così non è, nello stesso luogo, come conviene, comandiamo che con cuore umiliato immediatamente rendano grazie al Sommo Procuratore Nostro: che è Cristo: messi in disparte i pani interi, si comanda di distribuire come dovuto per fraterna carità ai servi o ai poveri.
15. Il decimo del pane sia sempre dato all’elemosiniere.
Benché il premio della povertà che è il regno dei cieli senza dubbio spetti ai poveri: a voi tuttavia, che la fede cristiana vi confessa indubbiamente parte di quelli, comandiamo che il decimo di tutto il pane quotidianamente consegniate al vostro elemosiniere.
16. La colazione sia secondo il parere del Maestro.
Quando il sole abbandona la regione orientale e discende nel sonno, udito il segnale, come è consuetudine di quella regione, è necessario che tutti voi vi rechiate a Compieta, ma prima desideriamo che assumiate un convivio generale. Questo convivio poniamo nella disposizione e nella discrezione del Maestro, perché quando voglia sia composto di acqua; e quando con benevolenza comanderà, di vino opportunamente diluito. Questo non è necessario che conduca a grande sazietà o avvenga nel lusso, ma sia parco; infatti vediamo apostatare anche i sapienti.
17. Terminata la Compieta si conservi il silenzio.
Finita la Compieta è necessario recarsi al giaciglio. Ai fratelli che escono da Compieta non venga data licenza di parlare in pubblico, se non per una necessità impellente; quanto sta per dire al suo scudiero sia detto sommessamente. Forse può capitare che in tale intervallo per voi che uscite da Compieta, per grandissima necessità di un affare militare, o dello stato della nostra casa, perché il giorno non è stato sufficiente, sia necessario che lo stesso Maestro parli con una parte dei fratelli, oppure colui al quale è dovuto il comando della casa come Maestro. Così questo comandiamo che avvenga; poiché è scritto: “Nel molto parlare non sfuggirai il peccato”. E altrove: “La morte e la vita nelle mani della lingua”. In questo colloquio proibiamo le scurrilità, le parole inutili e ciò che porta al riso: e a voi che vi recate a letto, se qualcuno ha detto qualcosa di stolto, comandiamo di dire l’orazione del Signore con umiltà e devota purezza.
18. Gli stanchi non si alzino per i Matutini.
Non approviamo che i soldati stanchi si alzino per i Matutini, come è a voi evidente: ma con l’approvazione del Maestro, riteniamo unanimemente che essi debbano riposare e cantare le tredici orazioni costituite, in modo che la loro mente ricordi con la voce quanto detto dal Profeta: “Salmeggiate al Signore con sapienza”: e ancora: “Al cospetto degli Angeli salmeggerò a Te”. Ma questo deve dipendere dal consiglio del Maestro.
19. Sia conservata comunità di vitto tra i fratelli.
Si legge nella pagina Divina: “Si divideva ai singoli, come era necessario per ciascuno”. Perciò non diciamo che vi sia accezione di persone ma vi deve essere considerazione delle malattie. Quando uno ha meno bisogno, ringrazi Dio, e non si rattristi: colui che ha bisogno si umigli per l’infermità, non si innalzi per la misericordia, e così tutte le membra saranno in pace. Ma questo proibiamo ché a nessuno sia lecito abbracciare una astinenza fuori posto, ma conducano una vita comune costantemente.
20. Qualità e stile del vestito.
Comandiamo che i vestiti siano sempre di un unico colore, ad esempio bianchi , o neri, o, per così dire, bigi. A tutti i soldati professi in inverno e in estate, se è possibile, concediamo vesti bianche, cosicché coloro che avranno posposto una vita tenebrosa, riconoscano di doversi riconciliare con il loro Creatore, mediante una vita trasparente e bianca. Che cosa di bianco, se non l’integra castità? La castità è sicurezza nella mente, e sanità di corpo. Infatti ogni militare, se non avrà preservato nella castità, non potrà raggiungere la pace perpetua e vedere Dio; come attesta l’Apostolo Paolo: “Seguiamo la pace con tutti e la castità, senza cui nessuno vedrà il Signore”. Ma perché uno sia di questo stile deve essere privo della nota arroganza e del superfluo: comandiamo a tutti che abbiano tali cose affinché ciascuno da solo sia capace senza clamore di vestirsi e svestirsi, mettersi i calzari e levarseli. Il procuratore di questo ministero con vigile cura sia attento nell’evitare questo, coloro che necessitano non ricevano un abito troppo lungo o troppo corto ma di giusta misura secondo la tagli di ciascuno fratello. Coloro che ricevono abiti nuovi, restituiscano subito i vecchi, da riporre in camera, o dove il fratello cui spetta il compito avesse deciso, perché possano servire agli scudieri o agli aggregati, oppure ai poveri.
21. I servi non portino vesti bianche, cioè palii.
Decisamente disapproviamo quanto era nella casa di Dio e del Tempio dei suoi soldati, senza discrezione e decisione del comune capitolo, e comandiamo, che venga radicalmente eliminato quasi fosse un vizio proprio. I servi e gli scudieri portavano una volta vesti bianchi, donde derivavano danni. Sorsero infatti in zone ultra montane alcuni falsi fratelli, sposati, ed altri, che dissero di appartenere al Tempio, mentre sono nel mondo. Costoro procurarono tante ingiurie e tanti danni all’Ordine Militare, e agli aggregati presuntuosi come professi insuperbendo fecero nascere molti scandali. Portino quindi sempre vesti neri: nel caso in cui questi non possano essere trovati, abbiano quelli che si possano trovare nella provincia in cui abitano, o quanto può essere avvicinato alla più semplice di un unico colore, cioè bigio.
22. I soldati professi portino solo vesti bianche.
A nessuno è concesso di portare tuniche candide, o avere palii bianchi, se non ai nominati soldati.
23. Si usino solo pelli di agnelli.
Abbiamo deciso di comune accordo, che nessun fratello professo abbia pelli di lunga durata perenne o pelliccia o qualcosa di simile, e che serva al corpo, anche per coprirlo se non di agnelli o arieti.
24. I vecchi vestiti siano dati agli scudieri.
Il procuratore o datore dei vestiti con ogni attenzione dia i vecchi abiti sempre agli scudieri e agli aggregati, e talvolta ai poveri, agendo con fedeltà ed equità.
25. Chi brama le cose migliori abbia le peggiori.
Se un fratello professo, o perché gli è dovuto o perché mosso da superbia volesse abiti belli o ottimi, meriterebbe per tale presunzione senza dubbio quelli più umili.
26. Sia rispettata la qualità e la quantità dei vestiti.
È necessario osservare la quantità secondo la grandezza dei corpi e la larghezza dei vestiti: colui che consegna gli abiti sia in questo attento.
27. Colui che consegna i vestiti conservi innanzitutto l’uguaglianza.
Il procuratore con fraterno intuito consideri la lunghezza, come sopra fu detto, con la stessa attenzione, perché l’occhio dei sussurratori o dei calunniatori non presuma di notare alcunché: e in tutte queste cose, umilmente mediti la ricompensa di Dio.
28. L’inutilità dei capelli.
Tutti i fratelli, soprattutto i professi, è bene portino capelli in modo che possano essere considerati regolari davanti e dietro e ordinati; e nella barba e nei baffi si osservi senza discussione la stessa regola, perché non si mostri o superficialità o il vizio della frivolezza.
29. Circa gli speroni e le collane.
Chiaramente gli speroni e le collane sono una questione gentilizia. E poiché questo è riconosciuto abominevole da tutti, proibiamo e rifiutiamo l’autorizzazione a possederli, anzi vogliamo che non ci siano. A coloro che prestano servizio a tempo non permettiamo di avere né speroni, né collane, né capigliatura vanitosa, né esagerata lunghezza di vestiti, anzi del tutto proibiamo. A coloro che servono al Sommo Creatore è sommamente necessaria la mondezza interna ed esterna, come egli stesso attesta, dicendo: “Siate mondi, perché Io sono mondo”.
30. Numero dei cavalli e degli scudieri.
A ciascun soldato è lecito possedere tre cavalli, poiché povertà della casa di Dio e del Tempio di Salomone non permette di aumentare oltre, se non per licenza del Maestro.
31. Nessuno ferisca uno scudiero che serve gratuitamente.
Concediamo ai singoli militari per la stessa ragione un solo scudiero. Ma se gratuitamente e caritatevolmente quello scudiero appartiene a un soldato, a costui non è lecito flagellarlo, e neppure percuoterlo per qualsiasi colpa.
32. In che modo siano ricevuti coloro che restano a tempo.
Comandiamo a tutti i soldati che desiderano servire a tempo a Gesù Cristo con purezza d’animo nella stessa casa, di comprare fedelmente cavalli idonei in questo impegno quotidiano, e armi e quanto è necessario. Abbiamo anche giudicato, tutto considerato, che sia cosa buona e utile valutare i cavalli. Si conservi perciò il prezzo per iscritto perché non venga dimenticato: quanto sarà necessario al soldato, o ai suoi cavalli, o allo scudiero, aggiunti i ferri dei cavalli secondo la facoltà della casa, sia acquistato dalla stessa casa con fraterna carità. Se frattanto il soldato per qualche evento perdesse i suoi cavalli in questo servizio; il Maestro per quanto può la casa, ne procurerà altri. Al giungere del momento di rimpatriare, lo stesso soldato conceda la metà del prezzo per amore Divino, e se a lui piace, riceva l’altra dalla comunità dei fratelli.
33. Nessuno agisca secondo la propria volontà.
È conveniente a questi soldati, che stimano niente di più caro loro di Cristo, che per il servizio, secondo il quale sono professi, e per la gloria della Somma Beatitudine, o il timore della Genna, prestino continuamente obbedienza al Maestro. Occorre quindi che immediatamente, se qualcosa sia stato comandato dal Maestro, o da colui al quale è stato dato mandato dal Maestro, senza indugio, come fosse divinamente comandato, nel fare non conoscano indugio. Di questi tali la stessa Verità dice: “Per l’ascolto dell’orecchio mi ha obbedito”.
34. Se è lecito andare senza comando del Maestro in un luogo isolato.
Scongiuriamo, e fermamente loro comandiamo, che i generosi soldati che hanno rinunciato alla propria volontà, e quanti sono aggregati, senza la licenza del Maestro, o di colui cui fu conferito, di non permettersi di andare in un luogo isolato, eccetto di notte al Sepolcro, o a quei luoghi che sono inclusi nelle mura della Santa Città.
35. Se è lecito camminare da soli.
Coloro che viaggiano, non ardiscano iniziare un viaggio né di giorno né di notte, senza un custode, cioè un soldato o un fratello professo. Infatti dopo che furono ospitati nella Milizia, nessun militare, o scudiero o altro, si permetta di andare per vedere negli atri del altri militari o per parlare con qualcuno, senza permesso, come fu detto sopra. Perciò affermiamo saggiamente, che in tale casa ordinata da Dio, nessuno secondo il suo possesso svolga il proprio servizio o riposi; ma secondo il comando del Maestro ciascuno agisca cosi che imiti la sentenza del Signore, con cui ha detto: “Non sono venuto a fare la mia volontà ma di colui che mi ha mandato”.
36. Nessuno chieda singolarmente ciò che è a lui necessario.
Comandiamo, che sia scritta tra le altre come propria questa consuetudine, e posta ogni attenzione confermiamo perché si eviti di cercare il vizio. Nessun fratello professo deve chiedere che gli sia assegnato personalmente un cavallo o una cavalcatura o delle armi. In che modo? Se la sua malattia, o la debolezza dei suoi cavalli, o la scarsezza delle sue armi, fosse riconosciuta tale, che avanzare così sia un danno comune: si rechi dal Maestro, o da colui cui è dovuto il ministero dopo il Maestro, e gli esponga la causa con sincerità e purezza: infatti la cosa va risolta nella decisione del Maestro, o del suo procuratore.
37. I morsi e gli speroni.
Non vogliamo che mai oro o argento che sono ricchezze particolari, appaiono nei morsi o nei pettorali, né negli speroni, o nei finimenti, né sia lecito ad alcun fratello professo acquistarli. Se per caso tali vecchi strumenti fossero stati dati in dono, l’oro o l’argento siano colorati in modo che il colore o il decoro non appaia arroganza in mezzo agli altri. Se fossero stati dati nuovi, il Maestro faccia ciò che vuole di queste cose.
38. Sulle aste e sugli scudi non venga posta una copertura.
Non si abbia una copertura sopra gli scudi e le aste, perché secondo noi questo non è proficuo, anzi dannoso.
39. L’autorizzazione del Maestro.
Al Maestro è lecito dare cavalli o armi a chiunque, o a chi ritiene opportuno qualunque altra cosa.
40. Sacco e baule.
Non sono permessi sacco e baule con il lucchetto: così siano presentati, perché non si posseggano senza il permesso del Maestro, o di colui a cui furono affidati i compiti della casa e i compiti in suo vece. Da questa norma sono esclusi i procuratori e coloro che abitano in province diverse, e neppure è inteso lo stesso Maestro.
41. L’autorizzazione scritta.
In nessun modo a un fratello sia lecito ricevere, o dare, dai propri parenti, né da qualsiasi uomo, né dall’uno all’altro, senza il permesso del Maestro o del procuratore. Dopo che un fratello avrà avuto licenza, alla presenza del Maestro, se così a lui piace, siano registrati. Nel caso che dai parenti sia indirizzato a lui qualcosa, non si permetta riceverla, se prima non è stato segnalato al Maestro. In questa norma non sono inclusi il Maestro e i procuratori della casa.
42. La confessione delle proprie colpe.
Poiché ogni parola oziosa si sa che genera il peccato, che cosa essi diranno ostentatamente riguardo alle proprie colpe davanti al severo giudice. Dice bene il Profeta che se occorre astenersi dai buoni discorsi per il silenzio, quanto più occorre astenersi dalle cattive parole per la pena del peccato. Vietiamo quindi che un fratello professo osi ricordare con un suo fratello, o con qualcun altro, per meglio dire, le stoltezze, che nel secolo del servizio militare compì in modo enorme, e i piaceri della carne con sciaguratissime donne, o qualsiasi altra cosa: e se per caso avesse sentito qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o appena può si allontani per obbedienza, e al venditore d’olio non offra il cuore.
43. Questua e accettazione.
Se a un fratello fosse stata data qualcosa senza averla chiesta, la consegni al Maestro o all’economo: se un altro suo amico o parente non volesse che fosse usata se non da lui, questa non riceva, fino a quando abbia il permesso del Maestro. Colui al quale sarà data la cosa, non dispiaccia che venga data a un altro: sappia per certo, che se si arrabbiasse per questo, agisce contro Dio. Nella sopraddetta regola non sono contenuti gli amministratori ai quali in modo speciale è affidato e concesso il ministero riguardo al sacco e al baule.
44. I sacchi per il cibo sui cavalli.
È utile a tutti che questo ordine da noi stabilito sia rispettato senza eccezioni. Nessun fratello presuma di confezionare sacchi per il cibo di lino o di lana, preparati con troppa cura: non ne abbia se non di panno grezzo.
45. Nessuno osi cambiare o domandare.
Nessuno presuma di cambiare le sue cose, fratello con il fratello, senza l’autorizzazione del Maestro, e chiedere qualcosa, se non fratello al fratello, purché la cosa sia piccola, vile, non grande.
46. Nessuno catturi un uccello con un uccello, neppure proceda con il richiamo.
Noi giudichiamo con sentenza comune che nessuno osi catturare un uccello con un uccello. Non conviene infatti aderire alla religione conservando i piaceri mondani, ma ascoltare volentieri i comandamenti del Signore, frequentemente applicarsi alle preghiere, confessare a Dio i propri peccati con lacrime e gemito quotidianamente nella preghiera. Nessun fratello professo per questa causa principale presuma di accompagnarsi con un uomo che opera con il falco o con qualche altro uccello.
47. Nessuno colpisca una fiera con l’arco o la balestra.
È conveniente camminare in atteggiamento pio, con semplicità, senza ridere, umilmente, non pronunciando molte parole, ma ragionando, e non con voce troppo elevata. Specialmente imponiamo e comandiamo ad ogni fratello professo di non osare entrare in un bosco con arco o balestra o lanciare dardi: non vada con colui che fece tali cose se non per poterlo salvare da uno sciagurato pagano: né osi gridare con un cane né garrire; né spinga il suo cavallo per la bramosia di catturare la fiera.
48. Il leone sia sempre colpito.
Infatti è certo, che a voi fu specialmente affidato il compito di offrire la vita per i vostri fratelli, e eliminare dalla terra gli increduli, che sempre minacciano il Figlio della Vergine. Del leone questo leggiamo, perché egli circuisce cercando chi divorare, e le sue mani contro tutti, e le mani di tutti contro lui.
49. Ascoltate il giudizio riguardo a quanto è chiesto su di voi.
Sappiamo che i persecutori della Santa Chiesa sono senza numero, e si affrettano incessantemente e sempre più crudelmente ad inquietare coloro che non amano le contese. In questo si tenga la sentenza del Concilio fatta con serena considerazione, che se qualcuno nelle parti della regione orientale, o in qualunque altro luogo chiedesse qualcosa su di voi, a voi comandiamo di ascoltare il giudizio emesso da giudici fedeli e amanti del vero; e ciò che sarà giusto, comandiamo che voi compiate senza esitazione.
50. In ogni cosa sia tenuta questa regola.
Questa regola comandiamo che venga tenuta per sempre in tutte le cose che immeritatamente sono state a voi tolte.
51. Quando è lecito a tutti i militari professi avere una terra e degli uomini.
Crediamo che per Divina Provvidenza nei santi luoghi prese inizio da voi questo genere nuovo di religione, che cioè alla religione sia unita la Milizia e così la religione proceda armata mediante la Milizia, o senza colpa colpisca il nemico. Giustamente quindi giudichiamo, poiché siamo chiamati soldati del Tempio che voi stessi per l’insigne e speciale merito di probità abbiate casa, terra, uomini, contadini e giustamente li governate: e a voi è dovuto in modo particolare quanto stabilito.
52. Ai malati sia dedicata un’attenzione particolare.
Ai fratelli che stanno male occorre prestare una cura attentissima, come si servisse a Cristo in loro: il detto evangelico, “sono stato infermo e mi visitaste” sia attentamente ricordato. Costoro vanno sopportati pazientemente, perché mediante loro senza dubbio si acquista una retribuzione superiore.
53. Agli infermi sia sempre dato ciò che è necessario.
Agli assistenti degli infermi comandiamo con ogni osservanza e attenta cura, che quanto è necessario per le diverse malattie, fedelmente e diligentemente, secondo le possibilità della casa sia loro amministrato, ad esempio, carne e volatili e altro, fino quando siano restituiti alla sanità.
54. Nessuno provochi l’altro all’ira.
Massima attenzione va posta perché qualcuno non presuma di provocare l’altro all’ira: infatti la somma clemenza della vicina Divina Fraternità congiunse tanto i poveri quanto i potenti.
55. In che modo siano accolti i fratelli sposati.
Permettiamo a voi di accogliere i fratelli sposati in questo modo, se chiedono il beneficio e la partecipazione della vostra fraternità, entrambi concedano una parte della loro sostanza e quanto avessero ad acquistare lo diano all’unità del comune capitolo dopo la loro morte, e frattanto conducano una vita onesta, e si studino di agire bene verso i fratelli, ma non portino la veste candida e il mantello bianco. Se il marito fosse morto prima lasci la sua parte ai fratelli: la moglie ricavi il sostegno della vita dall’altra parte. Consideriamo infatti questo ingiusto che fratelli di questo tipo risiedano nella stessa casa dei fratelli che hanno promesso la castità a Dio.
56. Non si abbiano più sorelle.
Riunire ancora sorelle è pericoloso: l’antico nemico a causa della compagnia femminile cacciò molti dalla retta via del paradiso. Perciò, fratelli carissimi, perché sempre tra voi sia visibile il fiore dell’integrità, non è lecito mantenere ancora questa consuetudine.
57. I fratelli del Tempio non abbiano parte con gli scomunicati.
Questo, fratelli è da evitare e da temere, che qualcuno dei soldati di Cristo, in qualche modo si unisca a una persona scomunicata singolarmente e pubblicamente, o presuma di ricevere le sue cose, perché la scomunica non sia simile al Maranatha (vieni Signore). Ma se fosse stato soltanto interdetto, non sarà fuori posto avere parte con lui, e ricevere caritatevolmente le suo cose.
58. In che modo vanno ricevuti i soldati secolari.
Se un soldato dalla massa della perdizione, o un altro secolare, volendo rinunziare al mondo, volesse scegliere la vostra comunione e vita, non si dia a lui subito l’assenso ma secondo la parola di Paolo, “provate gli spiriti se sono da Dio così a lui sia concesso l’ingresso”. Si legga dunque la regola in sua presenza: e se costui ottempererà diligentemente ai comandi di questa esimia regola, allora, se al Maestro e ai fratelli sarà piaciuto riceverlo, convocati i fratelli esponga con purezza d’animo a tutti il suo desiderio e la sua richiesta. In seguito il termine della prova dipenda in tutto dalla considerazione e dalla decisione del Maestro, secondo l’onestà di vita del richiedente.
59. Non siano chiamati tutti i fratelli al consiglio privato.
Comandiamo che non sempre siano convocati al consiglio tutti i fratelli, ma solo quelli che il Maestro avrà ritenuto idonei e provvidenziali per il consiglio. Quando volesse trattare le questioni maggiori, quale dare la terra comune, o discutere dell’Ordine stesso, o ricevere un fratello: allora è opportuno convocare tutta la congregazione, se così ritenne il Maestro; udito il parere di tutto il capitolo, quanto di meglio e di più utile il Maestro avrà ritenuto opportuno, questo si faccia.
60. Devono pregare in silenzio.
Comandiamo con parere concorde che, come avrà richiesto l propensione dell’anima e del corpo, i fratelli preghino in piedi o seduti: tuttavia con massima riverenza, con semplicità, senza chiasso, perché uno non disturbi l’altro.
61. Ricevere la fede dei serventi.
Abbiamo saputo che molti da diverse province, tanto aggregati, quanto scudieri desiderano vincolarsi nella nostra casa a tempo con animo fervoroso per la salvezza delle anime. È utile che riceviate la fede loro, affinché per caso l’antico nemico non intimi loro nel servizio di Dio alcunché furtivamente o indecentemente, o li distolga improvvisamente dal buon proposito.
62. I fanciulli, fin quando sono piccoli non siano ricevuti tra i fratelli del Tempio.
Quantunque la regola dei Santi Padri permetta di avere dei fanciulli in una congregazione, noi non riteniamo di dover caricare voi di tale peso. Chi volesse dare in perpetuo suo figlio, o un suo congiunto, nella religione militare: lo nutra fino agli anni, in cui virilmente con mano armata possa eliminare dalla Terra Santa i nemici di Cristo: in seguito secondo la regola il padre o i genitori lo pongano in mezzo ai fratelli, e rendano nota a tutti la sua richiesta. È meglio nella fanciullezza non giurare, piuttosto che diventato uomo, ritirarsi in modo clamoroso.
63. Sempre i vecchi siano venerati.
È bene che i vecchi con pia considerazione secondo la debolezza delle forze siano sopportati e diligentemente onorati: in nessun modo si usi severità in quanto la tolleranza è necessaria per il corpo, salva tuttavia l’autorità della regola.
64. I fratelli che partono per diverse province.
I fratelli che si incamminano per diverse province, per quanto lo permettano le forze, si impegnino ad osservare la regola nel cibo e nella bevanda e nelle altre cose, e vivano in modo irreprensibile, perché abbiano buona testimonianza da coloro che stanno fuori: non macchino il proposito di religione né con parola né con atto, ma soprattutto a coloro, con i quali si sono incontrati, offrano esempio e sostanza di sapienza e di buone opere. Colui presso il quale avranno deciso di alloggiare, abbia buona fama: e, se è possibile la casa dell’ospite non manchi della candela, affinché il nemico tenebroso non procuri la morte, Dio non voglia. Quando avranno sentito di riunire soldati non scomunicati, diciamo che colà devono andare non preoccupandosi di una utilità temporale, quanto piuttosto della salvezza eterna delle loro anime. Ai fratelli diretti nelle zone al di là del mare con la speranza di essere trasportati raccomandiamo di ricevere con questa convenzione coloro che avessero voluto unirsi in perpetuo all’Ordine Militare: entrambi si presentino al Vescovo di quella provincia e il presule ascolti la volontà di colui che chiede. Ascoltata la richiesta, il fratello lo invii al Maestro e ai fratelli che si trovano nel Tempio che è in Gerusalemme: e se la sua vita è onesta e degna di tale appartenenza, misericordiosamente sia accolto, se questo sembra bene al Maestro e ai fratelli. Se nel frattempo morisse, a causa del lavoro e della fatica, come a un fratello a lui sia riconosciuto tutto il beneficio e la fraternità dei poveri e dei commilitoni di Cristo.
65. A tutti sia distribuito in modo uguale il vitto.
Riteniamo anche che questo in modo congruo e ragionevole sia rispettato, che a tutti i fratelli professi sia dato cibo in egual misura secondo la possibilità del luogo: non è infatti utili l’accezione delle persone, ma è necessario considerare le indisposizioni.
66. I soldati abbiano le decime del Tempio.
Crediamo che avendo abbandonato le ricchezze a voi donate abbiate ad essere soggetti alla spontanea povertà, per cui in questo modo abbiamo dimostrato in quale modo spettino a voi che vivete invita comune, le decime. Se il Vescovo della Chiesa al quale è dovuta giustamente la decima, avrà voluto darla a voi caritatevolmente: deve dare a voi le decime che allora la Chiesa sembra possedere con il consenso del capitolo comune. Se un laico dovesse impossessarsi di essa (decima) o sottrarla dal suo patrimonio in modo condannabile, e confessando la propria colpa avrà voluto lasciare a voi la stessa: secondo la discrezione di colui che presiede questo può essere fatto, senza il consenso del capitolo.
67. Le colpe leggere e gravi.
Se un fratello avrà sbagliato in modo lieve nel parlare, nell’agire o altrimenti, egli stesso confessi al Maestro il suo peccato con l’impegno della soddisfazione. Per le cose lievi, se non esiste una consuetudine, ci sia una lieve penitenza. Nel caso in cui tacesse e la colpa fossa conosciuta attraverso un altro, sia sottoposto a una disciplina e a una riparazione maggiore e più evidente. Se la colpa sarà grave, si allontani dalla familiarità dei fratelli, né mangi con loro alla stessa mensa, ma da solo assuma il pasto. Il tutto dipenda dalla decisione e dall’indicazione del Maestro, affinché sia salvo nel giorno del giudizio.
68. Per quale colpa il fratello non sia più accolto.
Soprattutto occorre provvedere che, nessun fratello, sia potente o impotente, forte o debole, voglia esaltarsi e poco a poco insuperbire, difendere la propria colpa, possa rimanere indisciplinato: ma, se non avrà voluto correggersi a lui venga data una correzione più severa. Che se non avrà voluto correggersi con pie ammonizioni e per le preghiere a lui innalzate, ma si sarà innalzato sempre più nella superbia: allora secondo l’Apostolo, “sia sradicato dal pio gregge”: togliete il male da voi: è necessario che la pecora malata sia allontanata dalla società dei fratelli fedeli. Inoltre il Maestro che deve tenere in mano il bastone e la verga (cioè il bastone, con cui sostenga le debolezze delle altre forze, la verga con cui colpisca con lo zelo della rettitudine i vizi di coloro che vengono meno) con il consiglio del Patriarca e con una considerazione spirituale studi il da farsi, affinché, come dice il Beato Massimo, “la più libera clemenza non approvi l’arroganza del peccatore, né l’esagerata severità non richiami dall’errore chi sbaglia”.
69. Dalla solennità di Pasqua fino alla festa di tutti i Santi si possa soltanto portare una camicia di lino.
Per il grande caldo della regione Orientale, consideriamo compassionevolmente, che dalla festa di Pasqua fino alla solennità di tutti i Santi, si dia a ciascuno un’unica camicia di lino, non per il dovuto, ma per sola grazia, e questo dico per chi vorrà usufruire di essa. Negli altri tempi generalmente tutti portino camice di lana.
70. Quanti e quali panni siano necessari nel letto.
Per coloro che dormono nei singoli letti riteniamo di comune consiglio, se non sopravviene qualche grave causa o necessità: ciascuno abbia biancheria secondo la discreta assegnazione del Maestro: crediamo infatti che a ciascuno sia sufficiente un pagliericcio, un cuscino e una coperta. Colui che manca di uno di questi, prenda una stuoia, e in ogni tempo sarà lecito usufruire di una coperta di lino, cioè un panno: dormano vestiti con la camicia, e sempre dormano indossando gli stivali. Mentre i fratelli dormono, fino al mattino non manchi la lucerna.
71. Va evitata la mormorazione.
Comandiamo a voi, per Divino Ammonimento, di evitare quasi peste da fuggire, le emulazioni, le invidie, il livore, le mormorazioni, il sussurrare, le detrazioni. Si impegni ciascuno con animo vigile a non incolpare o riprendere il suo fratello ma ricordi tra sé la parola dell’Apostolo: “Non essere un accusatore, né diffamatore del popolo”. Quando qualcuno avrà conosciuto che un fratello ha peccato in qualcosa, in pace e fraterna pietà, secondo il precetto del Signore, lo corregga tra sé e lui solo: e se non lo avrà ascoltato prenda un altro fratello: ma se avrà disprezzato entrambi, in riunione davanti a tutti pubblicamente sia rimproverato. Soffrono di grave cecità, coloro che calunniano gli altri; sono di grande infelicità coloro che non si guardano dal livore: da qui sono immersi nell’antica iniquità dell’astuto nemico.
72. Si evitino i baci di tutte le donne.
Riteniamo pericoloso per ogni religioso fissare lungamente il volto delle donne: perciò un fratello non osi baciare né una vedova, né una nubile, né la madre, né la sorella, né un’amica, né nessuna altra donna. Fugga dunque la Milizia di Cristo i baci femminili, attraverso i quali gli uomini spesso sono in pericolo: così con coscienza pura e vita libera può perennemente conversare al cospetto del Signore.
Interessante è esaminare le due redazioni di questa Regola: l’una in latino, che è quella «primitiva» stabilita nel Concilio di Troyes del 1129, e l’altra in francese, risalente circa al 1139. Tra queste due versioni intercorrono però alcune differenze talora anche rilevanti, come la soppressione della particella negativa «non» dell’articolo 63 della Regola latina, una elisione che muta radicalmente nella versione francese il senso dei rapporti dei Templari con i «cavalieri scomunicati».
Per questo, ed altri motivi, la pubblicazione della parte latina della Regola è di grande utilità soprattutto se si vuole effettuare una riflessione seria e fondata in merito alla genesi e allo sviluppo templare nel tempo. Il primitivo articolo 63 diviene così il fulcro di una serie di considerazioni, che proviamo ad offrire come primo momento di scambio reciproco con l’Autore del libro. Due sono i punti importanti all’interno di questa norma: la particella negativa «non» e la sussistenza a quel tempo di «cavalieri scomunicati».
A questo va anche collegata la contiguità con i Templari di Bernardo di Chiaravalle. La cancellazione del «non» nella versione francese potrebbe infatti dipendere da un errore madornale nella traduzione dal latino, oppure potrebbe essere stato appositamente eliminato. Scartando la prima opzione, banale ma tuttavia preconizzabile, si tratta ora di capire a quale economsoteriologica risponda la facoltà di frequentare anche «cavalieri scomunicati». In merito ai «cavalieri scomunicati» riteniamo sia corretto identificarli con i Catari, anche perché diversamente si sarebbe potuto parlare di «infedeli» nel caso di musulmani.
E in quel momento, il Catarismo era già solidamente radicato nel territorio occitano, tanto da risultare precedente a quel Concilio di Trento, in cui lo stesso Cristianesimo d’Occidente si definì quale «Chiesa cattolica». Per quanto riguarda invece Bernardo di Chiaravalle, bisogna ricordare il suo particolare rapporto con il Catarismo che non fu improntato a un duro combattimento come si crede generalmente. Egli invece costituì proprio per loro i «conversi», corpo laico all’interno dei monasteri cistercensi, nei quali essi potevano esprimersi nelle loro pratiche religiose.
Egli guardava a loro con interesse: sebbene la loro predicazione non fosse accettabile da parte della Chiesa, il loro modo di vivere era encomiabile, fondato sull’esercizio di povertà, umiltà e carità. Con questi presupporti, tutti da verificare, si potrebbe dunque pensare che l’elisione del «non» prefiguri l’intento strategico di creare uno spazio di «riconciliazione» ed «assorbimento» dei cavalieri provenienti dalle zone catare nell’Ordine del Tempio, ordine quest’ultimo molto più vicino alla nascente «Chiesa cattolica».
Questo spiegherebbe del resto il vulnus innato racchiuso nello stesso Ordine: nato prima sulla scia della Crociata per difendere le vie di pellegrinaggio e poi costituito ufficialmente anche per riassorbire la pericolosa «eresia» catara, sarà accusato infine proprio per questa sua specie di ambiguità «giurisprudenziale» da parte della nascente gerarchia cattolico-romana.
Per comprendere il fenomeno della Cavalleria, bisogna rapportarsi al fatto che essa, prima ancora di essere una istituzione storicamente definita, fu l’incarnazione della ricerca di un’idea di perfezione, la risultante di un Archetipo di Giustizia da riportare sulla terra.
Essenzialmente l’idea cavalleresca era legata a valori quali l’amicizia, la lealtà verso l’avversario, il rispetto per la parola data, la pietà verso il nemico vinto, la protezione verso i deboli, gli indifesi, gli orfani e le vedove, e di tutto ciò che poteva rappresentare il sostegno del Popolo di Dio.
Per comprendere il fenomeno della Cavalleria, bisogna rapportarsi al fatto che essa, prima ancora di essere una istituzione storicamente definita, fu l’incarnazione della ricerca di un’idea di perfezione, la risultante di un Archetipo di Giustizia da riportare sulla terra.
Essenzialmente l’idea cavalleresca era legata a valori quali l’amicizia, la lealtà verso l’avversario, il rispetto per la parola data, la pietà verso il nemico vinto, la protezione verso i deboli, gli indifesi, gli orfani e le vedove, e di tutto ciò che poteva rappresentare il sostegno del Popolo di Dio.
“Io, cavaliere del sovrano ordine militare del tempio, prometto obbedienza e fedeltà al mio Signore Gesù Cristo, al Suo Vicario Pontefice Romano ed ai Suoi Successori legittimamente eletti.
Prometto che difenderò i Misteri della Fede, i Sette Sacramenti, i Quattordici Articoli della Fede, il Simbolo della Fede, sia degli Apostoli che di Sant’Atanasio, il Libro del Vecchio e del Nuovo Testamento, con i commentari dei Padri della Chiesa, l’Unità Divina e la pluralità delle Persone nell’Unica Trinità.
Prometto sottomissione al Sovrano Maestro dell’Ordine ed obbedienza secondo gli Statuti di Nostro Padre San Bernardo.
Credo nell’eterna verginità, prima, durante e dopo il parto della Vergine Maria, figlia di Gioacchino e di Anna, della tribù di Giuda, della stirpe del Re Davide. Sarò pronto a difendere la fede cristiana ogni qual volta sarà necessario.
Non venderò i beni dell’Ordine, nè li alienerò, nè permetterò che siano alienato o venduti da nessuno.
Non consegnerò le città e le fortezze dell’Ordine ai suoi nemici.
Non negherò il mio aiuto con le parole e le buone opere alle persone devote, soprattutto ai Monaci Cistercensi ed ai loro Abati, nostri fratelli e compagni.
In fede, a Dio piacendo, e secondo la mia volontà, mi impegno a mantenere tutte queste promesse.
Che Dio ed i suoi Santi Evangeli mi aiutino.”
“Mio buon fratello, voi chiedete una cosa ben grande, poiché non vedete della nostra religione che la scorza che la riveste esternamente. Perché la scorza è tale che voi ci vedete possedere dei bei cavalli e delle belle vesti, e così vi sembra che vi troverete a vostro agio. Ma voi non conoscete i duri comandamenti che vigono all’interno: poichè è gran cosa che voi, che siete padrone di voi stesso, diveniate servo degli altri. Perchè, con grande pena, voi non agirete mai secondo i vostri desideri: se voi vorrete andare nella terra che è al di qua del mare, vi si manderà al di là; se voi vorrete risiedere ad Acri, vi si manderà nella terra di Tripoli o d’Antiochia o d’Armenia, o vi si invierà in Puglia o in Sicilia, in Lombardia o in Francia, in Inghilterra o in Borgogna o in numerose altre terre dove noi abbiamo le nostre case o possedimenti. E se voi vorrete dormire, vi si farà vegliare; e se talvolta voi vorrete vegliare, vi si comanderà di andare a riposare nel vostro letto… Quando voi sarete a tavola e vorrete mangiare vi si comanderà di andare dove si vorrà, e non saprete mai dove. Numerose volte dovrete subire delle ammonizioni. Ora considerate, mio buon fratello, se potrete sopportare tutte queste durezze”.
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