Il “Castello delle Pietre e dei Principi Normanni” oggi si colloca quasi al centro del centro storico di Capua, lungo via Andreozzi, nei pressi del tracciato urbano della via Appia.
Il nome dell’edificio deriva proprio dal riuso di grandi blocchi di calcare, le pietre molto regolari per tradizione prelevate dall’anfiteatro romano di Capua. L’intero basamento in calcare bianco sembra essere di reimpiego, probabilmente proveniente dall’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere. Nel paramento murario sono incastrati alcuni frammenti decorativi, un blocco con rilievi figurati e un frammento di epigrafe dedicatoria (“FIER”).
La via Latina (o Casilina) servì a collegare Casilinum, il porto fluviale dell’antica Capua, alla capitale e la sua fama iniziò nel momento in cui il tracciato della via Appia passò in secondo piano perché divenne impraticabile a causa dell’abbandono delle città da essa attraversate, del proliferare delle zone paludose e acquitrinose e delle distruzioni operate dai Saraceni nel corso del IX secolo. Il percorso della via Latina attraversava tutta la zona a nord est della provincia di Caserta e, prima di arrivare a Roma, serviva a raggiungere anche il monastero di Monte Cassino, altro importante punto di riferimento per la spiritualità cristiana. Il punto di partenza della strada era Capua. I documenti e i resti architettonici testimoniano la presenza di cavalieri templari in città. Fra’ Giovanni avrebbe diretto la commenda, nata il 7 giugno 1231; fra’ Matteo d’Isernia ne avrebbe diretta un’altra nel 1283, che nel frattempo aveva acquisito altre proprietà, tra cui terre e fattorie a Casalnuovo. Nel 1255 il potere delle sedi capuane sarebbe cresciuto così tanto da ottenere anche la direzione delle commende minori di Maddaloni, Teano, Gaeta, Venafro e Piedimonte Matese, che includevano chiese, castelli, ospedali e fattorie. Il 13 ottobre 1307, giornata storica durante la quale iniziarono gli arresti dei cavalieri templari da parte del re Filippo IV, rappresentò una data significativa anche per i templari capuani, che vennero perseguitati. Cinquanta di loro sarebbero fuggiti con armi e bestiame, dirigendosi verso Teano. A loro si sarebbero aggiunti i fuggitivi di Gaeta e Maddaloni e tutti insieme si sarebbero nascosti in una masseria nei pressi di Roccamonfina. I loro beni, registrati in documenti, scritti in latino e su pergamene miniate, sarebbero stati oggetto di continui spostamenti, infatti all’inizio sarebbero stati portati nel castello Caracciolo a Volla, dove sarebbero rimasti fino al 1776, per poi essere trasferiti in una stanza segreta detta di “Santa Caterina” a Castelnuovo insieme ad armi, vesti e bandiere templari in bauli di ferro almeno fino al 1918.
Nel 1925 essi sarebbero stati conservati a Villa Lebano di Trecase, vicino Torre Annunziata fino al 1978, ma in realtà non sono mai stati trovati. Tali beni sarebbero stati inventariati, per conto del Regio Inquisitore, l’arcivescovo di Neopatrasso, nell’aprile del 1308, nei quali sono elencati i beni della domus templare di Capua, che per la maggior parte sarebbero stati nascosti nelle campagne di Roccamonfina. I superstiti si mescolarono e mimetizzarono in altri ordini religiosi e le loro proprietà passarono a questi, come quello dei “Cavalieri Ierosolomitani”, che ebbe a Capua una predominanza e avrebbe lasciato tracce evidenti. L’unico luogo in cui si parla esplicitamente di proprietà templare è il Borgo S. Terenziano, che esisteva dove ora sorge il rione noto come “Fuori Porta Roma”.
Vi erano una chiesetta, un ospedale e un convento, che furono poi distrutti durante il XVI secolo perché ricoperti dalle fortificazioni spagnole. Tale chiesa è stata ricoperta, insieme al borgo omonimo, dalla chiesa settecentesca di San Giuseppe. Gli altri luoghi sono, invece, collegati alle proprietà dei “Cavalieri Ierosolomitani”, come un ospedale, che si sarebbe trovato nel Sobborgo di S. Giovanni, dove ora sorgono il Castello delle “Pietre” e i resti delle chiese di S. Panfilo e di S. Tommaso Apostolo, demolite durante il XVI secolo. Nelle chiese si svolgevano le funzioni e i riti di investitura dei cavalieri ad opera del Gran Maestro, che apparteneva ad una delle nobili famiglie capuane, gli Azzio. I cavalieri giuravano di difendere la chiesa, gli orfani, le vedove, gli oppressi e i lebbrosi. Una delle loro proprietà sarebbe stata la “Fontana Lazzaro”, una sorgente naturale dalla tradizione millenaria, ubicata nella cittadina di Liberi e vicina ad una grotta dedicata a San Michele Arcangelo. Proprio qui essi difendevano i pellegrini dai ladroni e che venivano per avere fertilità grazie ai poteri balsamici di quelle acque, per far riposare e abbeverare i cavalli e per godere dei miracoli che si verificavano di frequente.
Ridente borgo che strizza l’occhio al Vesuvio, dove si trovano testimonianze del passaggio templare. Esisteva un certo Nicola de Martoni, notaio di Carinola, che il 17 giugno 1394 intraprese un pellegrinaggio partendo da Gaeta verso i luoghi santi, in compagnia di altri gentiluomini locali, tra i quali, Antoniazzo di Aspello della città di Sessa, Corbello de Dyano di Teano e un certo Perreco, forse anch’egli di Teano. In questo modo, il notaio è stato considerato un testimone interessante, perché ha fornito importanti dettagli da un punto di vista storico e geografico, descrivendo nel suo diario i luoghi attraversati e facendo spesso riferimenti alla sua terra d’origine e ad altri centri campani, come Carinola, Capua, Sessa, Teano, Napoli, Alife. Alcune di queste città hanno restituito tracce della presenza templare e ci sono anche delle fonti antiche in merito, in fase di valutazione scientifica.
Una delle testimonianze culturali del borgo medievale di Casertavecchia è rappresentata sicuramente dal “Mastio”, la torre cilindrica, costruita tra il 1225 e il 1238, durante la dominazione degli Svevi, popolo di stirpe germanica, di cui Federico II fu l’esponente di spicco nell’Italia meridionale. A tal proposito, l’imperatore soggiornò nel castello e, proprio durante la sua costruzione, la sua vita si intrecciò esattamente con quella dei cavalieri templari.
Come tanti imperatori, anche Federico II iniziò ad ambire ai beni e alle ricchezze che essi avevano accumulato grazie ai servigi resi nel corso del tempo a favore dei pellegrini. Infatti, egli alternò, talvolta momenti di coalizione con loro, talvolta momenti di conflitti e disaccordi, perché, trovandosi, spesso, in condizioni economiche precarie, fu costretto a chiedere dei prestiti. In particolare, per garantire la prosecuzione dei lavori di realizzazione della torre di Casertavecchia, egli si trovò nella situazione di confiscare ai Templari ricchezze di ogni specie. Pertanto, si può ben ritenere che, dietro la costruzione di molte magnifiche opere architettoniche disseminate nell’Italia meridionale, si nascondano i beni sottratti alle comunità templari del Sud che furono gravemente danneggiate dalle ambizioni culturali e dalle manie di grandezza imperiale.
L’imperatore, negli stessi anni circa, aveva fatto costruire, non molto lontano, a Capua, le due torri sul fiume Volturno, le quali facevano parte della porta che costituiva l’ingresso nord della città. E’ molto probabile che siano state commissionate le stesse maestranze per Capua e per Casertavecchia, in quanto le torri, cosiddette “federiciane”, ricordano, per la tipologia costruttiva e tipi di materiali utilizzati, tra cui il calcare chiaro e il tufo grigio scuro, il “mastio” del borgo medievale. Non è da escludere che il territorio nei dintorni di Casertavecchia sia stato frequentato da piccole comunità di cavalieri templari, sia per l’importanza religiosa del luogo in qualità di sede vescovile, che per la protezione da garantire ai pellegrini che andavano a visitare l’eremo di San Vitaliano, che sorgeva in uno dei vicini casali, Casola e che, secondo la leggenda, avrebbe fornito ospitalità al vescovo-santo, Vitaliano.
Alife, nota anticamente come Allifae, è stata una colonia romana, sorta su un precedente insediamento sannitico. Essa ha sempre dominato su un territorio molto fertile, utilizzato fin da epoche remote per l’allevamento e per la coltivazione dei cereali, degli ortaggi, dei vigneti e degli oliveti. Strategica la sua posizione geografica, dovuta alla presenza di numerose vie di comunicazione, tra cui il fiume Volturno, che attraversava la zona e che anticamente era possibile navigare per un lungo tratto. Nei pressi della “Selva di Alife”, sarebbe esistito un convento dedicato a S. Pietro, risalente all’VIII secolo e ancora esistente nel XII. Nei pressi vi sarebbe stato anche un insediamento ospedaliero del XIII secolo, appartenente all’ordine di S. Giovanni Gerosolimitano. La sua presenza sarebbe stata confermata da un atto notarile che menziona la domus di S. Simeone tra i beni del Priorato di Capua. L’area sarebbe stata occupata da un monastero di epoca longobarda e più tardi da una commanderia templare e Ierosolimitana, che testimoniano come il territorio alifano fosse stato attraversato da un’importante e intensa viabilità, elemento non trascurabile per confermare la presenza dei cavalieri templari, che necessitavano della vicinanza a vie di comunicazioni efficaci per i loro spostamenti.
La viabilità alifana era garantita dalla vicinanza al fiume Volturno, navigabile nell’antichità e ad un tratto della via Latina (o Casilina), che proveniva da Teano, incrociava la strada che collegava Venafrum ad Allifae e poi proseguiva per Telesia e Benevento. Ma, nel corso del tempo il territorio è stato devastato da lavori agricoli intensivi, per cui non ci sono resti di mura o fondamenta inerenti ad edifici tempari, ma la presenza di materiale ceramico testimonia una frequentazione profonda e ininterrotta dal II secolo a.C. fino al XV secolo. In particolare, questa frequentazione avrebbe interessato il periodo dell’Alto Medioevo e avrebbe riguardato la presenza di molte comunità monastiche, tra le quali vi sarebbe stata anche quella templare.
Prata Sannita sorge in una favorevole posizione geografica: ai piedi dei monti del Matese, a controllo della valle del fiume Lete. L’abbondanza di acqua, la ricchezza dei terreni coltivabili e le montagne ricche di boschi hanno sicuramente favorito l’insediamento umano fin da epoche remote. Anche in questo piccolo centro dell’Alto Casertano, ci sarebbero tracce della presenza dei cavalieri templari. Nella piazza centrale del paese, dedicata a San Pancrazio, si trova l’omonima Chiesa Parrocchiale. Essa conserva una facciata molto interessante, che nasconderebbe un lontano passato. Risulta molto alta, con tre piccoli leoni romanici ai lati di tre nicchie semicircolari nella parte più elevata; un rosone; una finestra tamponata e ancor prima occupata da un’antica meridiana; il portale d’ingresso sormontato da un’edicola con ai lati due soli sfolgoranti, che vengono annoverati tra i simboli più diffusi appartenuti all’ordine dei Cavalieri Templari. Dal momento che i primi lavori di costruzione della chiesa attuale risalirebbero solamente al 1500, è probabile che l’edicola, con i simboli prima menzionati, facesse parte di quei materiali di reimpiego, provenienti da un luogo di culto più antico che sorgeva in una zona non molto distante. L’altro edificio significativo del centro storico di Prata è rappresentato dal castello, fatto ricostruire dai conti Pandone nel XV secolo, al di sopra di un impianto precedente, risalente al IX secolo. Esso ha avuto un importante ruolo strategico e militare, dominando e sorvegliando buona parte della media valle del Volturno. Poi, è divenuto un centro culturale, trasformandosi da fortezza in residenza per alcuni importanti personaggi dell’epoca medievale, tra cui l’imperatore Federico II, il duca Alfonso I d’Aragona e persino i cavalieri templari. Nei sotterranei della cosiddetta “Torre Piccola”, oltre alle cantine, vi è un piccolo vano circolare, che veniva utilizzato come prigione sotterranea. La cosa interessante è che i detenuti incidevano sulle pareti alcuni graffiti, con i quali hanno espresso le loro emozioni, le loro paure, le loro speranze, ma soprattutto hanno manifestato la propria identità. Secondo storici e studiosi, alcuni di questi graffiti rappresenterebbero una chiara traccia della presenza di cavalieri templari all’interno di questa segreta. In particolare, i simboli a loro attinenti sarebbero croci, profili di cavalieri, un albero di acacia tra due torri e imbarcazioni, che probabilmente richiamavano il desiderio, da parte dei prigionieri (cavalieri o pellegrini), di raggiungere i porti per imbarcarsi verso la Terrasanta. Tracce dei cavalieri templari tra simbologie e segni mistici. I recenti studi, mirati ad analizzare specifici simboli rinvenuti in alcuni edifici del territorio casertano e attribuiti alla presenza dei cavalieri templari, stanno suscitando un forte interesse negli storici e negli scienziati sia italiani che stranieri. Uno dei confronti più verosimili può essere fatto con quei simboli individuati all’interno dell’abbazia del Goleto a Sant’Angelo dei Lombardi, in provincia di Avellino. L’abbazia è sorta come monastero femminile nel XII secolo, al quale venne ben presto affiancato un piccolo convento di monaci, il cui compito fu quello di vigilare sull’economia dell’abbazia. Fu un luogo molto attivo, frequentato da parecchi personaggi nobili della zona, che si rivelarono molto devoti e che, in cambio di donazioni, speravano in grazie e benevolenze. La struttura venne definitivamente abbandonata nel 1807 per volere di Giuseppe Bonaparte, che ordinò la soppressione degli ordini monastici. Oggi l’abbazia è ritornata a vivere, da una parte, grazie all’interesse degli storici dell’arte, perché essa costituisce un capolavoro dell’arte romanica, dall’altra grazie ad appassionati e studiosi di simboli medievali. </
I simboli presenti tra le mura del Goleto sono svariati, ma in questa sede saranno presi in considerazione sono quelli riscontrati anche in alcune zone della provincia di Caserta: Il primo simbolo è il cosiddetto “Centro Sacro”, un quadrato nel quale sono inscritti otto raggi che, partendo dal suo interno, formano due croci greche. È un simbolo antichissimo, che starebbe ad indicare l’origine delle cose e che veniva solitamente inciso all’ingresso delle chiese. Molti storici ritengono che i Cavalieri Templari lo utilizzassero per segnalare luoghi di culto dal particolare interesse mistico. Nel territorio casertano, questo simbolo sarebbe stato individuato all’interno della Basilica Benedettina di Sant’Angelo in Formis, vicino Capua, come decorazione di un’acquasantiera. Pertanto, anche questo luogo potrebbe essere stato frequentato dai cavalieri, sia per la presenza del simbolo appena descritto, che per un’analogia con altri siti templari, cioè la venerazione del culto di San Michele, a cui è dedicata la basilica. L’Arcangelo, sempre raffigurato come un guerriero con armatura, spada o lancia, pronto a trafiggere il Male, sarebbe stato molto venerato dai templari, i quali si sarebbero immedesimati nel suo ruolo di protettore delle forze del Bene. Il culto di San Michele, quindi, costituirebbe un elemento essenziale che accomuna i siti casertani dove sarebbe attestata la presenza templare, come la sopra citata sede capuana di Sant’Angelo in Formis, la Cattedrale di Casertavecchia e il Santuario di Maddaloni.
San Guglielmo da Vercelli si ferma in Irpinia dove fonda prima Montevergine e poi l’Abbazia del Goleto nel 1128-1133 esempio di monastero doppio, ovvero ospitava sia le monache sia i monaci. Le monache si occupavano dell’amministrazione del convento con a capo una badessa. Qui venivano a monacarsi le ragazze dell’aristocrazia, tre sono le badesse passate alla storia, Febronia, Marina e Scolastica.
Disseminati nell’abbazia ci sono vari segni templari, come un centro sacro che richiama la sacralità del luogo, la triplice cinta interpretata da alcuni come la stilizzazione del Tempio di Salomone a Gerusalemme, la croce del Verbo.
Nel 1212 la badessa Febronia fece costruire la torre difensiva per difendere la vita delle monache, anche perché molte erano rampolle di famiglie aristocratiche. Nella torre sono stati riutilizzati frammenti di un mausoleo di un generale romano Paccio Marcello che comandava la VI legione sciitica. La torre è arricchita da alcune sculture simboliche: la mezzaluna legata al cristianesimo come luce e conoscenza, il volto di Dio, la cupola della roccia, la conchiglia legata a San Giacomo, il fiore della vita; i vari simboli sono legati a Gerusalemme e dimostrano il passaggio dei Templari.
Il monastero era anche punto di sosta dei pellegrini che si recavano a Gerusalemme trovandosi sulla grossa direttrice viaria romana, la via Appia pertanto la presenza templare era in relazione alla scorta per i pellegrini.
Il convento è stato abitato fino al 1515 con la morte dell’ultima badessa; il Papa nel 1506 chiuse il convento affidandolo ai monaci di Montevergine. Altro momento di splendore è stato il ‘700, quando negli anni 1735-45 è stata progettata la chiesa del Vaccaro poi crollata dopo il 1807 probabilmente per un terremoto. Attualmente è priva di copertura, ma conserva il fascino tipico dei ruderi diroccati. Il sarcofago di San Guglielmo doveva trovarsi sull’altare, successivamente spostato in chiesa, mentre i suoi resti sono stati spostati a Montevergine. Alcune tele della chiesa sono oggi conservate nella Chiesa Cattedrale di Sant’Angelo dei Lombardi. Nel 1807 Napoleone chiuse vari complessi monastici tra cui anche il Goleto, rimasto in stato di abbandono fino al 1973 quando Padre Lucio De Marino chiese il permesso di abitare al Goleto e diede il via al progetto di restauro del complesso, parzialmente depredato dall’uso come cava di materiali. Dopo il terremoto dell’80 sono iniziati i restauri con la consulenza della Facoltà di Architettura Federico II.
Gioiello nell’Abbazia è la cappella di San Luca che si raggiunge attraverso una scala esterna dove si vede un corrimano a forma di serpente con un pomo in bocca, monito alla tentazione oppure, come vogliono altre tradizioni non legate alla visione cristiana, rappresenta la chiave della conoscenza. La chiesa fu fatta costruire nel 1255 dalla badessa Marina, come recita l’iscrizione sul fronte dell’arco (di un colore rosa tipico del calcare dell’Appennino lavorato da artigiani di origine sannita), per ospitare una reliquia di San Luca, forse l’ulna probabilmente conservata nell’altare interno (oggi si conserva il reliquario); vi compare anche la croce patente uno dei simboli più sacri ai templari. Nel frontespizio c’è una figura leonina che nell’accezione cristiana rappresenta la forza cristiana. Dei numerosi affreschi che dovevano decorare l’ambiente resta solo traccia dell’affresco delle badesse Scolastica e Marina e alcuni episodi della vita di San Guglielmo. È probabile che tecnici della corte di Federico II abbiano lavorato nella cappella di San Luca, avendo dei rapporti con la badessa Marina.
C’è una scultura di San Guglielmo con il lupo come vuole il racconto secondo cui tale animale sbranò il mulo del santo e successivamente venne ammansito oppure si lega alla trasposizione della tradizione pagana che vede il lupo come l’animale totemico degli irpini. La distribuzione spaziale ricorda le aule del Capitolo dove si riunivano per studiare i testi sacri. Nella parete rivolta a nord probabilmente era collocata la cattedra della badessa. In una delle colonne compare l’allegoria dell’albero della vita mentre nell’altra centrale alla base si vedono i topi che aggrediscono la colonna, ovvero il topo animale del maleficio può attaccare se ci si allontana dalla fede. Altra simbologia è legata al pavimento (oggi di restauro) ha 8 mattonelle per lato simbolo della rinascita nella tradizione cristiana come la base della colonna dell’albero della vita e l’alternanza del bianco e nero è spesso legata alla simbologia templare.
Attualmente vivono al Goleto i Piccoli fratelli di Jesus Caritas (1989) discepoli di Charles de Foucald, monaco missionario nel Sahara algerino.
Intensa e significativa fu la presenza templare a Napoli. Vi fu, infatti, una loro donazione nel marzo 1148 alla Badia di Cava de’ Tirreni e re Carlo I d’Angiò di Napoli nominò tesoriere reale nella torre dell’Oro al Maschio angioino, il templare Arnulfo. Il successivo tesoriere regio a Napoli, fu il templare fra’ Guidone dal 1268 al 1269.Inoltre dai documenti si evince che dal 1271 il numero delle Commende e fortezze templari aumentò in Sicilia, Puglia, Molise, Abruzzo, Calabria, Basilicata. In Campania, ad esempio, vi era la grande Commenda e ospedale crociato templare a Capua e il castello di Cicciano, fattorie a Casalnuovo e altre Commende a Teano, Salerno, Benevento, Avellino, Marigliano, Somma Vesuviana, Nola. Nei Regesta angioini del 1282, si elencano siti templari a Real Valle di Scafati, a Pozzuoli e una fattoria templare a Cuma, territorio di Bacoli. Durante il concilio per l’elezione a Papa di Celestino V fu ospite al Maschio Angioino il Gran Maestro dei Templari Jaques de Molay. In quel periodo, nel gennaio 1295, dimorò nella Commenda principale ed ebbe modo di visitare l’ospedale crociato di Sant’Eligio, il castello Templare di Cicciano e le Commende templari di Capua e di Maddaloni. Quando Carlo I nel 1304 fece costruire un palazzo per uno dei suoi figli, inglobò nella fabbrica una proprietà agraria fuori Napoli, dopo il ponte di Casanova, verso Poggioreale che gli era stata donata dai Templari. Nel 1268 i Templari riscuotevano i tributi regi portuali della città presso la Real dogana vecchia. Ad un certo punto l’ascesa sembra arrestarsi e i cavalieri persino scomparire: nell’ottobre del 1307 a Parigi ebbero inizio gli arresti dei Templari per ordine dell’avido re Filippo il Bello. Il sovrano angioino di Napoli dovette adeguarsi alle direttive di Francia, facendo arrestare i cavalieri presenti nel Regno: 8 a Messina e 8 a Brindisi, confiscando tutte le loro proprietà. I beni vennero inventariati dai giudici regi tra il 1312 e il 1322 e affidati ai Cavalieri di Malta, di San Lazzaro, ai Teutonici, al Regio Demanio di Napoli, ai monaci antoniani, benedettini, francescani, domenicani e agostiniani, ma anche ai nobili più legati alla corte angioina. Sembrava davvero che vi fosse la determinazione di distruggere l’Ordine templare, e di far scomparire ogni loro traccia. Secoli dopo, le ricerche dei neotemplari napoletani di stretta osservanza della Commenda Aquila di Napoli, dirette dal Gran Maestro principe Diego Naselli d’Aragona tra il 1776 e il 1788, portarono ad effettuare scavi nelle grotte di piazza del Gesù, lungo la chiesa e via Tribunali, nei sotterranei della chiesa romanica della Pietrasanta. Gli scavi vennero ripresi nel 1833 fino al 1848 dai pompieri della Caserma del Sole. Durante i lavori di scavo vennero ritrovate una trentina di croci templari. Infine, sui camminamenti di ronda del Maschio Angioino vennero rinvenute croci rosse opera degli scultori catalani che su ordine del re Alfonso d’Aragona tra il 1453 al 1458 scolpirono e dipinsero i simboli dell’Ordine cavalleresco neotemplare spagnolo di Montesa, simili a quelle templari, uguali a quelle francesi del castello di Chinon, ove fu tenuto prigioniero de Molay.
I Segreti alle Due Porte all’Arenella
Una misteriosa Chiesetta Templare al Vico Molo alle due Porte all’Arenella, una delle tracce significative dei Templari presenti a Napoli. Una Cappella Templare con sarcofagi gotici emblematici e i presunti resti della misteriosa Accademia dei Segreti di Giambattista Della Porta. Facciamo un passo alla volta. La Chiesa o per meglio dire Cappella di Santa Maria Porta Coeli e di San Gennaro, sita al vico Molo alle Due Porte all’Arenella, se pur piccola per dimensione, è da considerarsi un vero gioiello storico-artistico e archeologico di Napoli; ma c’è di più: si ipotizza che fra i sotterranei della chiesa si celerebbero i presunti resti della misteriosa e perduta Accademia dei Segreti, fondata nel XVI secolo da Giambattista Della Porta, celebre scienziato, letterato e alchimista, che qua vi abitava. Inoltre tra gli antichi sotterranei della chiesa, ben visibili, sono custoditi misteriosi sarcofagi in stile gotico, appartenenti alla Cappella sepolcrale dei Di Costanzo e quasi del tutto dimenticati. Fra i suoi tesori si annovera una tela di Pacecco De Rosa «San Gennaro intercede presso la Vergine per la salvezza di Napoli» in memoria del miracoloso prodigio del Santo Patrono che arrestò l’eruzione del Vesuvio del 1631. La chiesa fu fondata nel 1664 dalla nobildonna Isabella di Costanzo, come suggerisce la lapide ben leggibile posta sulla facciata; erede di Cinzia Della Porta, figlia di Giambattista Della Porta. Dalla sua biografia si apprende che Isabella aveva sposato il nobiluomo Alfonso Di Costanzo, rampollo di una delle famiglie originaria di Pozzuoli e tra le più prestigiose del Regno di Napoli. Donna Isabella amava trascorrere lunghi periodi con la sua famiglia in collina (al Vomero) in quest’area dell’Arenella che dal 1400, si presentava come un minuscolo borgo di campagna eletto dai napoletani come luogo di ristoro e di tranquillità, detto Borgo delle Due Porte, poiché qui vi furono innalzate due porte, ovvero due piccoli archi di cui si tramanda l’antico appellativo.
La porta di sinistra conduceva nel «Vico delle Fate» ovvero le «fate» furono chiamate le belle lavandaie che popolavano il borgo. Oggi quest’arco è chiamato «Arco di San Domenico». La porta di destra, viceversa, portava in Via Molo perché affacciava sul versante del mare e conduceva giù, di cui conserva intatto il nome «molo».
Luogo dove nacque e visse la sua adolescenza Ugo de Pagani,fondatore dell’Ordine Templare, discendente dei marchesi di Bracigliano, latinizzato in Hugo de Paganis, originario della località Pagani, nei pressi di Nocera Inferiore, città della Campania.
La località avrebbe preso il nome proprio dall’omonima famiglia, che si sarebbe insediata là intorno al 1020 e che sarebbe stata al servizio della vicina città di Amalfi, in particolare in occasione della Prima Crociata, inviando molti cavalieri, tra cui proprio Ugo.
Secondo alcuni storici Ugo è nato da nobili salernitani, Pagano ed Emma de Paganis, che si sarebbero poi trasferiti a Fiorenza, piccolo centro della provincia di Potenza. Un documento, custodito nella Biblioteca Nazionale di Napoli, elencherebbe i beni di proprietà dei cavalieri guerrieri nella zona della
«Difesa San Martino» a Fiorenza e riconducibili ai Pagani. Ugo de Paganis , dunque, visse a Pagani e frequentò il Battistero Paleocristiano della chiesa di Santa Maria Maggiore, nell’attuale Nocera Superiore, che prima faceva parte dei territori dell’antica Pagani. La cosa interessante è che su alcuni lati del battistero ci sarebbero delle croci, molto somiglianti alla “Croce” dei Templari. Croce incisa, anche, sul battistero della chiesa di Santa Maria Maggiore, Nocera Superiore-SA.
Ugo di Pagani ritratto da Henri Lehmann, 1841, dipinto a olio, 170 x 111 cm, Sala delle crociate, Reggia di Versailles, Parigi.
Lettera di Hugo de Paganis da Gerusalemme
Il Castello, risalente al IX-X secolo, è di impianto medievale e fu realizzato dai longobardi per difendere il borgo dalle invasioni saracene ed è per questo che si trova nella parte più alta del paese. Solo durante la dominazione normanna vennero realizzate le mura del borgo. La leggenda narra inoltre che il castello di Caggiano fu dimora di tanti Cavalieri Templari che durante le crociate scendevano dal nord per arrivare a Brindisi, uno dei porti utilizzati per raggiungere poi la Terra Santa. I Cavalieri si fermavano a Caggiano per trovare ristoro e riposo. Inoltre, si rifornivano di alimenti che li avrebbero accompagnati nel corso del viaggio. A Caggiano sono presenti ancora diverse tracce del loro passaggio, soprattutto simboli esoterici attribuiti proprio a questi antichi monaci guerrieri. È nota anche la storia della Contrada Sant’Agata, sempre a Caggiano, dove passa la cosiddetta via dei Templari e dove in passato furono rinvenuti, nei presso del rudere di una chiesa, resti e armatura di un cavaliere templare. Il castello oggi è sede di una mostra intitolata “I Templari guardano Caggiano” che documenta le tracce del loro passaggio.
Molte a Caggiano le tracce dei simboli attribuiti ai Cavalieri del Tempio, come ad esempio,un cerchio pitagorico scomposto realizzato in pietra, a croci dalla forma irregolare disseminate fuori e dentro il borgo e alla leggendaria Pietra Santa, proveniente dal Tempio di Gerusalemme, posta all’esterno della Chiesa di Santa Maria dei Greci, che gli abitanti del luogo erano soliti accarezzare per buon augurio. Inoltre, poco distante dall’abitato, in contrada S. Agata, sono stati ritrovati i resti e l’armatura di un templare, sotto il rudere di una chiesa che forse era stata adibita a sacro tempio dei cavalieri.
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